sabato 16 giugno 2007

L'ALBA FRA GLI ULIVI



Sono le 5.30 della mattina, non ho più sonno ed esco dalla mia casa in Maremma per fare una passeggiata. Lascio alle mie spalle il silenzio umano di chi sta ancora dormendo, entro nel giardino accompagnato dal canto degli uccelli che volano nel cielo ancora grigio. Pochi metri e sono nell’uliveto: scelgo un albero e comincio ad arrampicarmi. Durante la mia piccola scalata, scorgo, abbarbicata su di un ramo con la testa puntata verso l’alto, una chiocciola. Arrivo a mezza via mentre uno stormo di uccelli vola sopra di noi e in lontananza sento il verso breve e schioccante di una coppia di tortore. Controllo le olive appena nate: piccole e verdissime. Nulla di più variabile e incognito della produzione dell’olio: la quantità e la resa delle olive cambiano in maniera considerevole da un anno con l’altro. – Non è mica grano ! – così mi disse, tanti anni fa, un contadino. E’ curioso o forse emblematico che proprio una delle più antiche coltivazioni dell’uomo sia anche fra le più incerte. Proseguo e giungo là dove capacità e peso mi consentono di arrivare. Ho la testa che sporge da un mare di foglie diritte e tese verso il sole; tutto diventa deserto e silenzio turbato soltanto ad intervalli dal fruscìo di un’ondeggiante brezza. Per qualche minuto, incantato dal meraviglioso spettacolo che mi stava dinanzi, non so fare altro che guardare attonito in giro, senza distinguere nulla di definito nel largo e verde orizzonte, finché, una gazza si posa su di un palo della staccionata e gracchia con la sua voce stridula. Rispondo cercando di imitarla; lei allora salta sul palo successivo e ripete il suo verso. Continuo e ancora l’animale compie lo stesso gesto: ci ho preso gusto a questo gioco, vado avanti. Questa volta, dopo un piccolo tentennamento, vola via. Un paio di metri sotto la chiocciola non smette di salire: chissà perché lo fa, d'altronde, se mi facesse la stessa domanda, non saprei risponderle. Le dita rosa dell’alba colorano di azzurro il cielo. In basso con passo felpato arriva un gatto. Mi guarda perplesso: per una volta i ruoli sono invertiti, io su lui giù. Si allontana e io, per continuare il gioco delle parti, lo seguo. Giunto davanti ad una pianta di gelso si arrampica velocemente. Qui l’intento è chiaro: l’albero è pieno di frutti maturi, sarà il mio compito del pomeriggio, e degli uccellini stanno banchettando allegramente. Di grande appetito ma furbi, proseguono il loro pasto rimanendo sulla corona esterna, là dove non reggerebbe neanche il debole peso di un gatto. Lui lo sa, loro lo sanno: dopo qualche tentativo in varie direzioni, il felino abbandona la caccia e scompare dietro una siepe. Una luce si accende dentro la casa. L’idillio soave è finito: inizia un’altra giornata eccellente ed equa.


(Le parole in corsivo sono tratte da
Le Veglie di Neri di Renato Fucini)













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