sabato 10 febbraio 2007

LA TRACCIA DEL PRIMO SILENT TALE

Vedi post del 5 febbraio


[RACCONTO GIALLO]

La cameriera versa attenta i canederli fumanti al tavolo 11 e il signor Stefano si distrae ad osservare gli ospiti tra i fumi della zuppa e il vocio dei commensali. Non smette però di assecondare con la testa il discorso che Marta, la sua dolce compagna, gli sta facendo sulla malcelata avvenenza di Tanja, la badante di zia Lelia. Intorno, tutto è perfettamente normale, ordinariamente tranquillo, quella sera come tutte le sere dei sei inverni che lo hanno visto in vacanza all’Alpe di Siusi, allo stesso hotel Tschapit. La sensazione di protezione e familiarità è tra i sentimenti più ricercati da chi si concede tre settimane di riposo e sport in un albergo di alta montagna. Infatti, se l’altitudine induce all’isolamento, la solitudine è insieme ricercata e temuta. Pertanto, sentirsi la sera circondati di attenzione e sguardi benevoli conduce l’animo alla pace e alla soddisfazione.Il canederlo agli asparagi sono la sua passione e Stefano s’immerge nel piacere della degustazione e della sazietà. Tuttavia, sollevando di nuovo lo sguardo al di sopra della terza panca a sinistra, si avvede con disappunto che la signorina Sara non c’è: stranamente non è ancora venuta a cena. E avverte un sordo brusio anzi un parlare sempre più concitato provenire dalla saletta accanto, una stanza profumata di merletti e foto in bianco e nero. Sta per alzarsi, quando una mano ferma e fredda gli si appoggia sul….

(Patrizia da Numana) ... risvolto della tovaglia immacolata e accarezza delle pieghe invisibili senza cambiare nulla: è Andreas, la cameriera. Da quando si sono conosciuti non parla quasi mai, mantiene nelle sue frasi un vuoto antico, quello del suo spazio. “Gradisce ancora qualcosa?”La sua voce rimbomba nel dolce tepore di una sala troppo stretta tra bevitori e bicchieri appannati. Rimane in silenzio, Stefano. Un sorriso assente si fissa sulle sue labbra aprendogli una visione di sogno: si ritrova fuori nel freddo della sera, protetto dal vecchio, amato loden quando un vento pungente esala alle sue narici un aroma intenso, un profumo appena conosciuto: “Sara!” le grida, ma nel silenzio percepisce la lontananza di quel richiamo. Lei scosta la sciarpa dal viso diafano e fluttua leggera per sentieri segnati dalla luna, fioca ed esile. Stefano la rincorre, ha il respiro affannato, cerca di raggiungerla, di toccarla ma scopre l’ampiezza della loro distanza, il bagliore di una speranza fantasma, il gelido dolore della ricerca di lei.“Si, una coppa di lamponi caldi o heisse Liebe. E tu Marta hai già scelto? Marta, ma dove sei?” “Eccomi, se solo aprissi gli occhi un po’ di più…” “Che ne dici di questo… reperto?” aggiunge, stendendo sull’angolo del tavolino un foglietto bagnato e lacero. “Sembra una pagina di diario. Mi pare di poter leggere un nome.” Felice Stefano s’immerge in quel sorriso dolce e umido della compagna, vera camminatrice dei mondi vuoti e inconsapevole portatrice di segreti da lui attesi.

(Andrea)... E mentre Marta parla, Stefano socchiude gli occhi e ricomincia a sognare. Questa volta la notte è buia e senza luna. La figura snella e aggraziata di una giovane donna che regge una tremolante lanterna, a gesti lo invita a seguirla. Ne è irresistibilmente attratto, potrebbe essere Sara ma non è sicuro. Insieme si incamminano, silenziosamente, verso una grande costruzione scura. Giunti sotto le mura, Stefano ne percepisce l’imponenza e un disagio crescente, come se quel luogo custodisse un segreto misterioso e violento. All’improvviso un lampo squarcia le tenebre e tutto diventa chiaro nella sua tragica essenza.


“Cosa succede, caro, ti senti male ?” Esclama preoccupata Marta, avendo visto il suo compagno sobbalzare scompostamente. “Non è nulla, tesoro “risponde Stefano sbattendo gli occhi “solo un piccolo incubo, una sciocchezza”. Ma una angoscia profonda gli corrode l’anima. La verità dei fatti, apparsa in quel fugace bagliore, si era rituffata nella oscurità più completa lasciando però una traccia indelebile: dentro le mura di quel castello maledetto si era compiuto un efferato delitto, di cui però non ricordava se ne era stato solo testimone o partecipe. Sembrava che la memoria di un altro, come un virus, avesse preso possesso del suo cervello, gridando ragioni disperate alla sua coscienza smarrita e confusa. Lentamente, molto lentamente emergevano dagli abissi di quei ricordi estranei un'immagine ed un nome. Geerard der Teufel, dal sapore oscuro e minaccioso, e quella strana torre che compariva nella sua mente non gli significavano nulla, non gli appartenevano…


(Francesco Marchioro) ... Si sente un’auto frenare e una persona scendere con una torcia in mano, illuminando il ciglio della strada sommerso nella notte. Poi una mano ferma e fredda impone un silenzio perentorio: “Fermo dove si trova. Non faccia gesti inconsulti. Se riesce mi dica il suo nome!” Si sente un nome. Allora il panciuto poliziotto ripete quel nome al collega che è rimasto nell’auto: “Stefano Angeli, così dice di chiamarsi. Ma dubito sia proprio questo il suo vero nome.” Mentre l’uno si attacca al telefono per indagare sull’identità dello sconosciuto, l’altro osserva da vicino quel giovane uomo, barcollante e dai vestiti laceri, forse semi ubriaco o in preda agli effetti di una qualche droga. L’uomo non smette di parlare di luoghi e fatti in modo confuso, frammentario, tra lo spaurito e lo spaesato. La giacca, strappata sul lato sinistro, è un po’ più in là, sul marciapiede all’ingresso di un lussuoso palazzo, mentre sulla gamba destra c’è un taglio longitudinale e un violaceo raggrumo di sangue. Alle due di mattina non c’è molta gente in giro né si può facilmente pensare che quel signore sia reduce da una qualche innocua bevuta tra amici. Il poliziotto, dopo aver ordinato al collega di chiamare un’ambulanza, lo incalza: “Mi vuole dire che ci fa qui, a quest’ora? Come mai è conciato in questo modo? C’è stata una rissa, un’aggressione?” Stefano non capisce cosa gli stia accadendo, chi sia quella persona che lo trattiene in quel luogo, lo interroga su cose che sono solo sue, nient’altro che sue. Cerca di alzarsi per ..andarsene, ma una fitta alla coscia lo raggela e blocca. Intanto, dalla mano destra scivola giù, lentamente ma inesorabilmente

3 commenti:

Anonimo ha detto...

(Patrizia da Numana)
risvolto della tovaglia immacolata e accarezza delle pieghe invisibili senza cambiare nulla: è Andreas, la cameriera. Da quando si sono conosciuti non parla quasi mai, mantiene nelle sue frasi un vuoto antico, quello del suo spazio. “Gradisce ancora qualcosa?”
La sua voce rimbomba nel dolce tepore di una sala troppo stretta tra bevitori e bicchieri appannati. Rimane in silenzio, Stefano. Un sorriso assente si fissa sulle sue labbra aprendogli una visione di sogno: si ritrova fuori nel freddo della sera, protetto dal vecchio, amato loden quando un vento pungente esala alle sue narici un aroma intenso, un profumo appena conosciuto: “Sara!” le grida, ma nel silenzio percepisce la lontananza di quel richiamo. Lei scosta la sciarpa dal viso diafano e fluttua leggera per sentieri segnati dalla luna, fioca ed esile. Stefano la rincorre, ha il respiro affannato, cerca di raggiungerla, di toccarla ma scopre l’ampiezza della loro distanza, il bagliore di una speranza fantasma, il gelido dolore della ricerca di lei.
“Si, una coppa di lamponi caldi o heisse Liebe. E tu Marta hai già scelto? Marta, ma dove sei?” “Eccomi, se solo aprissi gli occhi un po’ di più…” “Che ne dici di questo… reperto?” aggiunge, stendendo sull’angolo del tavolino un foglietto bagnato e lacero. “Sembra una pagina di diario. Mi pare di poter leggere un nome.” Felice Stefano s’immerge in quel sorriso dolce e umido della compagna, vera camminatrice dei mondi vuoti e inconsapevole portatrice di segreti da lui attesi.

Andrea Fellegara ha detto...

Silent Tales: Racconto Giallo agg. 25/02/07 ore 12.10

Silenzi d'Alpe ha detto...

ATTENZIONE: Silent Tales, Racconto Giallo, aggiornamento del 06/05/07 ore 19.10